Il monte San Michele è il rilievo che caratterizza l’altopiano di Doberdò. Il Carso, prospiciente al mare, un secolo fa personificava l’inferno sulla terra, teatro dei combattimenti più feroci. Ai nostri giorni grandi lavori hanno avuto inizio sull’insanguinato acrocoro, per ricreare le originarie condizioni del fronte. Perché dunque era importante questo rilievo per la cui conquista gli italiani fecero ogni sforzo possibile? Perché non si tenne conto delle enormi perdite e della quantità di mezzi bellici impiegati? Dal punto di vista dei difensori perché era importante tenerlo ad ogni costo?
I settori difensivi austro-ungarici del Monte San Michele nella primavera 1916 evidenziati su una mappa Google
A queste domande risponde in parte l’attestazione del generale di cavalleria arciduca Giuseppe, comandante del VII Corpo austro-ungarico assegnato alla difesa del settore settentrionale dell’altopiano carsico. Egli riconobbe infatti l’importanza strategica del Monte San Michele: se gli italiani l’avessero preso, avrebbe perduto l’altopiano di Doberdò, ma oltre a questo si sarebbe persa anche una delle alture di fondamentale importanza della testa di ponte di Gorizia, il Podgora, e sussisteva anche il pericolo della caduta della stessa città di Gorizia, che avrebbe siglato il destino dell’intera testa di ponte. E quest’ultima non poteva essere ceduta sia per motivi politici che militari. La difesa di Gorizia o la sua conquista avevano un valore simbolico per entrambe le parti. Questa constatazione prese corpo alla fine di giugno 1915.
Le quattro cime del Monte san Michele identificate dalle posizioni italiane del Monte Fortin, sulla sponda destra dell’Isonzo
Più di un anno dopo, il 10 agosto 1916, le misure rese necessarie dal decorso della 6ª battaglia dell’Isonzo confermarono i peggiori timori dell’arciduca Giuseppe. A motivo della caduta della dorsale del Podgora e della stessa città di Gorizia si dovettero evacuare le posizioni difese in gran parte da reggimenti ungheresi con disperate mischie e al prezzo di tanto sangue. Fu abbandonata la dorsale del San Michele, sulla quale si allungavano i settori difensivi che nei combattimenti sull’altopiano di Doberdò avevano preteso i più pesanti e ingenti sacrifici di sangue.
Sul distintivo della 20ª divisione honvéd, che difese il settore per 12 mesi, si può vedere la linea sulla dorsale del Monte San Michele con il sottostante villaggio di San Martino.
La seconda ricognizione topografico-militare (1806–1869) registrò già con precisione i canaloni sul pendio nord-occidentale del Monte San Michele, le doline sul meno ripido pendio sud-orientale, i sentieri che attrarversavano il territorio. Un paesaggio irenico, dove le doline erano tutte coltivate, in molte erano piantati filari di vite. Sulle cupole del San Michele, grazie all’accurato lavoro del disegnatore si possono distinguere bene quelle doline che nel corso dei combattimenti furono riorganizzate per i servizi di guerra.
Il Monte San Michele nella seconda misurazione militare
Ai nostri giorni il viaggiatore o l’esperto di archeologia bellica che visita il Monte San Michele arriva alla zona monumentale organizzata dopo la Grande Guerra sul pendio occidentale della cima 3. Al tempo dei combattimenti che qui infuriarono l’aspetto del terreno appariva ben diverso. Il basamento della zona monumentale è costituito dalle pietre accumulate al tempo della costruzione del vasto sistema di caverne italiane di artiglieria, realizzato scavando sotto la cima 3. Come vedremo nel corso della ricognizione dei settori difensivi, la costruzione del sistema di caverne ha del tutto modificato i dintorni della cima. Dopo la 6ª battaglia dell’Isonzo l’artiglieria pesante italiana e le diverse formazioni di supporto stabilite nel settore riorganizzarono nel modo per loro più conveniente le posizioni e le caverne che avevano trovato sul posto.
Posizioni di artiglieria sul versante nord-orientale del Monte San Michele
(foto di Marco Mantini)
Con prigionieri di guerra portati sul luogo dopo la fine delle ostilità le pietre di riporto di un tempo furono rovesciate nuovamente nelle trincee ricavate nella roccia, facendo scomparire le orride cicatrici di guerra del Monte San Michele. Malgrado tutto in alcuni punti è ancora possibile vedere distintamente la principale linea difensiva e i resti delle trincee di collegamento che salendo vi confluivano. Le mappe austro-ungariche del tempo identificano due cime di 275 metri (quella sud-occidentale e quella nord-orientale), ma oltre a queste ne esistono altre due sulla dorsale del Monte San Michele. Procedendo da nord-est a sud-ovest gli italiani le hanno contrassegnate con un numero progressivo. I settori del terreno divisi da rilievi, pendii e doline rendono veramente mutevole la fisionomia della cima del San Michele. Per questa ragione rivestono per noi una grande importanza i tracciati vergati dalle truppe del genio e dai comandanti dei settori difensivi di allora: costituiscono la base per qualsiasi ricerca sul terreno. Oggi con il loro aiuto siamo ormai già in grado di cogliere con uno sguardo come e dove correva all’epoca la principale linea di difesa, dove si trovavano le caverne, quali fossero i settori ad alto rischio e via dicendo. Il tracciato visibile delle trincee sepolte dai detriti può ancora essere parzialmente seguito con l’aiuto delle cartine.
Al principio dei combattimenti i singoli settori difensivi della principale linea di difesa sull’altopiano di Doberdò vennero inizialmente contrassegnati a partire dal fiume Vipacco [in sloveno Vipava] con lettere ABC. Nel marzo del 1916 vi fu un cambiamento allorché i settori difensivi vennero identificati con numeri al posto delle lettere, premettendo il nome in codice di „Biene”. Seguiamo dunque e riconosciamo anche noi i singoli settori difensivi della linea di difesa che si allungava sul Monte San Michele e le loro immediate retrovie.
Settore difensivo Biene 7
Il settore difensivo settentrionale del Monte San Michele si snodava sul versante dell’altura che sovrastava l’Isonzo. La sua ala destra si raccordava già sul pendio settentrionale della montagna con il Biene 6. La linea di difesa principale (nella terminologia del tempo „la posizione”) dominava bene il canalone che iniziava proprio in quel punto, per questo nel corso dell’attacco con i gas del 29 giugno 1916 questo terreno costituiva un settore offensivo di particolare importanza. In quelle trincee erano state ricavate cinque caverne di squadra, una delle quali era quella dei mitraglieri, ben riconoscibile anche ai nostri giorni.
Caverna nel settore difensivo numero 7.
(foto di Tamás Pintér)
Tra le trincee e la sommità del monte si trova una dolina, un avvallamento naturale, che durante i combattimenti era un punto di riferimento di grandissima rilevanza. Era la “Dolina Innominata”. Vi erano stati installati un deposito di materiali, una postazione per bollire il te, un deposito di munizioni. Trincee di collegamento salivano dalla dolina alla linea difensiva principale.
La “Dolina Innominata” in un disegno dell’agosto 1916.
(fonte: Archivio di Storia militare di Budapest)
Per una granata a segno una devastante esplosione ebbe luogo nella dolina alle 11.00 di sera del 23 maggio 1916. Il materiale esplosivo e le bombe a mano colà stivate esplosero, divampò un incendio: a causa del gas sprigionato dalle bombe e delle concentrazioni di fuoco dell’artiglieria nemica divenne veramente difficile avvicinarsi al settore. Un plotone di genieri e mezza compagnia di fanti furono inviati in soccorso. Il numero delle vittime fu di 11 morti e 25 feriti. Un po’ più a sud di questa dolina, nei pressi del tratto di confine con il settore difensivo Biene 8, una dolina di minori dimensioni sprofonda nel Carso, nella quale era stata piazzato un lanciamine da 9 cm. La trincea di collegamento con il Biene 7, molto ben costruita e protetta con muretti di pietra (ovviamente devastati di continuo dall’artiglieria italiana e sempre soggetti a lavori di riassetto) portava alla seconda linea e alla cosiddetta „Valletta insanguinata”. Questa trincea era nello stesso tempo anche il collegamento con la terza linea difensiva, che copriva il fianco settentrionale del San Michele. Sicché se il nemico avesse sfondato nel Biene 6, sul pendio settentrionale, spingendosi poi all’attacco del Biene 8, quella trincea di collegamento sarebbe diventata la principale linea di difesa.
Un tracciato dell’area difensiva
(fonte: Archivio di Storia militare)
Oggi proprio il tratto nord di quel sentiero porta al punto sul quale si può fare il giro del Monte San Michele. Presso il punto d’incontro della trincea di collegamento e della cosiddetta „posizione di raccolta” venne ricavata nella roccia la caverna 8. La stessa „posizione di raccolta”partendo da questo punto e correndo lungo il ciglio orientale della „dolina innominata” proseguiva in direzione sud. Nel corso della 6ª battaglia dell’Isonzo fatti tragici ebbero luogo nei dintorni della caverna 8, il cui allestimento meriterebbe uno studio specifico. Se durante la battaglia non fosse seguita l’evacuazione dell’altopiano di Doberdò, allora con la prosecuzione dei lavori di questa caverna vi sarebbero state ben tre gallerie sotto le cime del Monte san Michele. Nel corso di ricerche d’archivio ho reperito la nota redatta il 1ºagosto 1916 , che conteneva la seguente proposta: „A motivo della favorevole collocazione tattica della caverna 8, la si colleghi con una galleria alla posizione di raccolta dietro il B7. La lunghezza sarebbe di venti metri, di modo da potervi alloggiare mezzo battaglione”. Ma ormai non vi fu modo di realizzarla.
Il settore difensivo Biene 8
Qui declina la cima settentrionale di 275 metri, la dorsale del monte è già più bassa. Ogni visitatore che faccia il giro dell’acrocoro fotografa l’ingresso restaurato, ma ancora diroccato dietro il timpano, della Galleria Schönburg, visibile sul tratto orientale dell’allora settore difensivo 8. Abbiamo già scritto sul blog la storia della sua riscoperta e ricostruzione.
La disposizione sul terreno del settore difensivo Biene 8 era tale da dominare sul pendio occidentale del San Michele il cosiddetto canalone „Tivoli”, che si apriva proprio dinanzi. Dalle due posizioni per mitragliatrice ricavate sulla sua ala destra si potevano battere nello stesso tempo i canaloni dinanzi ai settori B7 e B8. Per la sua posizione e l’importanza, il Biene 8 era battuto di continuo dall’artiglieria italiana. A questo si può aggiungere anche la quantità di conche e avvallamenti della dorsale, che forse precluse agli attaccanti la possibilità di un facile sfondamento.
Resti di una postazione di mitragliatrice nel settore difensivo Biene 8.
(foto di Tamás Pintér)
Le tre caverne di squadra realizzate per i difensori nella principale linea di difesa non offrivano un’adeguata protezione, in ogni occasione le perdite erano ingenti. Fu così anche il 10 maggio 1916, allorché due colpi a segno raggiunsero i ricoveri uccidendo 8 honvéd e ferendone 17. Nelle posizioni dirimpetto il nemico aveva installato dei lanciafiamme, come risulta anche da un rapporto del 9 maggio 1916: „I lanciafiamme nemici di fronte al Biene 8 sono entrati in funzione nel pomeriggio, alle 12.45. Il getto infuocato è stato visibile per 6 minuti e si è esteso ad una gittata di 30 passi, senza causare danni”. La posizione di raccolta che inizia nei pressi dell’ingresso della caverna 8 si estendeva fino al settore centrale del monte, esaurendosi poi nei pressi dell’ala sinistra. Proprio nel tratto sovrastante la galleria erano state ricavate due caverne di squadra. Nel blog è possibile trovare anche un articolo sulla difesa della galleria nel corso della sesta battaglia dell’Isonzo.
Poco più a nord dell’ingresso orientale della galleria, nella „dolina Putnoki”, di notevole estensione, erano state ricavate due ampie caverne. La prima era capace di accogliere 70 uomini, la seconda 110. Vi trovava ricovero una consistente riserva dei difensori. Di fronte all’entrata si allargava l’ampia „dolina Mészáros”, così intitolata in onore del capitano Ivan Mészáros, un eccellente comandante di battaglione del 1º reggimento honvéd di Budapest. Dal punto di vista della difesa del Monte San Michele questa dolina era la più importante base logistica. Qui si trovavano alcuni comandi, centrali telefoniche, depositi di materiale e magazzini di munizioni, posti di soccorso e pure il serbatoio dell’acqua. Essendo infatti il rifornimento di acqua alle formazioni combattenti un problema molto arduo da risolvere, ci si sforzò di portare le stazioni di rifornimento idrico il più vicino possibile alle posizioni.
Settore difensivo Biene 9
Si raggiunge qui l’area della cima sud-occidentale alta 275 metri, il settore più radicalmente ristrutturato dopo la sesta battaglia dell’Isonzo. Qui, in base alla conformazione del terreno, era stato realizzato un tratto avanzato diretto ad ovest nella linea difensiva principale che si allungava in direzione sud-ovest. La dorsale stessa si innalza nella Quota sud-occidentale 275. Da più punti di vista si trattava di un settore difensivo importante. All’inizio del saliente, mitragliatrici posizionate sull’ala destra prendevano sotto fuoco d’infilata anche il tratto di terreno antistante ai B7 e B8. In questo punto per i difensori erano state ricavate nella linea trincerata quattro caverne di squadra, a breve distanza l’una dall’altra. Sulla sinistra ce n’era una minore, e dietro a quella una più grande, adatta al ricovero di una riserva della consistenza di un plotone. Per realizzare le bocche delle piazzole di fuoco nel sistema di caverne di artiglieria le compagnie del genio italiano fecero brillare enormi tratti di roccia della dorsale, il che modificò completamente l’area rispetto alle condizioni in cui si trovava nell’agosto 1916.
L’Ingresso delle cannoniere ai nostri giorni.
(foto di Marco Mantini)
I pezzi di grosso calibro a lunga gittata ivi collocati sparavano in direzione nord-est. Il museo militare e l’installazione radio che si eleva sul posto furono eretti sulle posizioni austro-ungariche del tempo di guerra. Ormai si possono soltanto vedere singoli tratti della trincea di collegamento che dalla seconda linea portava in quella difensiva principale. Sebbene la trincea non raggiungesse la Quota 275, una nuova caverna per accogliere una trentina di uomini fu scavata nei pressi, completamente scomparsa nel corso della ristrutturazione. Oggi la cima è il più significativo luogo della memoria, dato che qui si trova il monumento eretto dagli italiani successivamente alla 6ª battaglia dell’Isonzo, in reverente ricordo delle vittime ungheresi e italiane delle prime sei battaglie: „Su queste cime italiani e ungheresi combattendo da prodi si affratellarono nella morte. Luglio MCMXV - Agosto MCMXVI".
I fondatori del Blog „Grande Guerra” presso il monumento commemorativo
Settore difensivo Biene 10
Qui la linea difensiva di allora, conformandosi ancora una volta alle possibilità offerte dal terreno, per breve tratto volgeva all’indietro verso la dorsale. Su questo settore aveva ormai inizio il pendio del Monte San Michele in direzione sud. Anche il B 10 è un settore difensivo che le truppe italiane del genio hanno del tutto „rimodellato” al fine di ricavare le piazzole dei pezzi nel sistema di caverne di artiglieria. Da quelle cannoniere si colpivano le formazioni austro-ungariche schierate a difesa sull’altopiano di Komen (Comeno). Con le pietre di riporto colmarono il vicino settore sud, dal quale oggi, come da un belvedere, si possono vedere bene il mare Adriatico, la parte meridionale del Carso di Doberdò e l’altopiano di Comeno. Servirebbero altre ricerche sul terreno per poter conoscere il destino delle tre caverne che si trovavano in questo tratto: „Casa Jancsi” (idonea ad accogliere 50 persone), „Villetta Juliska” e una caverna senza nome. Quest’ultima era più piccola e dalle mappe dell’epoca possiamo appurare che vi si trovava il comando del battaglione che combatteva sulla principale linea di difesa. In quello che all’epoca era il settore B 10 si trova il secondo tunnel del Monte San Michele, la galleria intitolata al comandante della regia 20ª divisione fanteria honvéd ungherese, il generale Géza Lukachich.
Resti di una postazione di mitragliatrice presso l’ingresso di ponente della galleria Lukachich. (foto dell’autore)
Fu invece ampliata la caverna che sul fondo della grande dolina denominata „Piazza Bomba”, collegata con una trincea protetta da muretti in pietra alla grande dolina „Valle della Morte”, giacente ad est della stessa. Proprio la dolina „Piazza Bomba" fu colmata durante la costruzione del sistema italiano di caverne d’artiglieria; il livello del suolo percorribile risulta attualmente molto più elevato che all’epoca. Prima del suo riassetto finale la galleria Lukachich era ancora una caverna priva di nome, lunga circa otto metri. Funzionava da deposito, posto di soccorso e stazione telefonica. Il 7 marzo 1916 ebbero inizio le ulteriori perforazioni, a tappe successive. L’11 aprile 1916 fu dato inizio allo scavo del tratto finale, collegando la galleria così ottenuta alla principale linea di difesa. Sullo sbocco occidentale venne installato un nido di mitragliatrice protetto da cemento. Fu allora che lo scavo ormai completato prese il nome di galleria Lukachich. Durante la 6ª battaglia dell’Isonzo, il 6 agosto 1916 tra le 3 e le 4 del pomeriggio, gli italiani che attaccavano in forze costrinsero nella galleria i resti del battaglione del 1º reggimento fanteria honvéd di Budapest al comando del capitano Miklós Bartóffy, prendendo prigionieri i superstiti.
Settore difensivo Biene 11
Il settore difensivo più tristemente famoso della guerra di mine nella primavera 1916. Qui la dorsale del Monte San Michele ormai scende verso il villaggio di San Martino del Carso. L’ala sinistra del settore, adattandosi alle caratteristiche del terreno, si ergeva come un bastione sul versante occidentale. La stessa linea difensiva principale qui piegava decisamente volgendosi in direzione sud-orientale.
Schizzo a matita del Biene 11 all’epoca dei fatti
(fonte: Archivio di Storia militare di Budapest)
Nel „ tratto di svolta” la posizione in forma di cuneo sporgeva in direzione delle linee italiane. Sotto il profilo della difesa non si trattava di una conformazione favorevole, perché il terreno si trovava esposto al fuoco da tre direzioni. Anche il fuoco dell’artiglieria nemica causava rilevanti perdite ogni giorno. A causa della posizione scarsamente sicura del saliente, direttamente alle sue spalle era stata realizzata una robusta e profonda trincea scavata nella viva roccia, denominata „Trincea della Speranza”, che doveva servire ai difensori in caso di sfondamento del nemico, per organizzare una nuova posizione difensiva nella speranza di un successivo favorevole combattimento.
Disegno delle gallerie da mina sul terreno del settore difensivo
(fonte: Archivio di Storia militare di Budapest)
Tra le gallerie da mina scavate nel Biene 11 la più devastante fu quella che detonò il 22 maggio 1916. Il cratere così formatosi non poté essere occupato dalla fanteria honvéd, mentre i nuovi attacchi sferrati nei giorni seguenti si conclusero con una serie di insuccessi. A questo si aggiunse l’allarme causato dall’effetto dei lanciafiamme impiegati nel corso dell’attacco. (Mi propongo di scrivere a proposito di questo infruttuoso attacco in un successivo intervento). A motivo della situazione realmente pericolosa del Biene 11, dietro la linea principale nella cosiddetta „posizione di raccolta” fu scavata una serie di caverne che presero i seguenti nomi: „Nido ronzante”, „Tana di volpe” e „Villino dei pionieri”. Sul posto del saliente di allora, teatro di aspri combattimenti, sorge oggi un impianto tecnico.
La possibilità offerta dal luogo è di dare uno sguardo limitato al campo di battaglia di allora. I cinque settori difensivi della linea austro-ungarica di difesa principale in questo tratto del fronte si allungavano per circa 1200 passi. Fino alla 6ª battaglia dell’Isonzo le posizioni che si inarcavano sul Monte San Michele furono in gran parte difese da unità ungheresi, che qui combatterono eroicamente contro le ingenti forze delle truppe italiane all’attacco. Gran parte dell’area è oggi coperta da un fitto bosco di arbusti. In occasione del centesimo anniversario della 6ª battaglia isontina, che impresse una svolta decisiva ai combattimenti in questo settore del fronte, nel corso dell’anno sono iniziati lavori di riorganizzazione del terreno sulla cosiddetta Cima 3, con la distruzione della macchia arbustiva in modo da far riaffiorare l’originario campo di battaglia di nuda roccia, rimodellato in mille modi nel corso dei combattimenti, per ogni metro quadrato del quale si è svolta una lotta mortale.
Traduzione di Gianluca Volpi