Attilio Caneppa

2019.06.09. 11:02 :: Babos Krisztina

magyar

Una storia per Pentecoste

Durante la prima guerra mondiale nella retrovia e nei campi di prigionia nacque una quantità mai vista prima d’allora di giornali delle varie unità militari e dei campi di prigionia. La Rivista Bellica del 4° Honvéd, pubblicata dal 1916 al 1918 grazie alla redazione del corpo ufficiali del 4° reggimento honvéd di Nagyvárad, e specialmente del lavoro editoriale del tenente Lajos Jámbor era un periodico simile, redatto sul fronte. La storia di Pentecoste del tenente Vilmos Ács su Attilio Caneppa, cioè sul caporale italiano della linea di fronte comparve nel numero di aprile 1918, nella rubrica di feuilleton, accanto a storie buffe, a sentenze, a scene teatrali, a notizie reggimentali, a poesie di lamento e canzonatorie. Attraverso lo scritto di Ács possiamo conoscere il lato umano e solidale del micidiale combattimento a mine.

 

ATTILIO CANEPPA
– feuilleton –
Ricordando il Monte San Michele
Vilmos Ács

Attilio Caneppa era il caporale del re d’Italia. L’ho conosciuto sulle pendici settentrionali del Monte San Michele, quando ci dividevano venti passi e qualche filo spinato ingarbugliato. Era il mio opponente in questa linea di fuoco; per due giorni osservavo lui, e lui osservava me; vedevo la sua faccia allungarsi per la sofferenza, i suoi occhi neri impauriti, avevo letto la sua calligrafia, direi, lo conoscevo di persona. Una conoscenza personale di cui sapevo che mi avrebbe trafitto con la baionetta, se il caso l’avesse voluto, ma avevo tutta l'intenzione di anticiparlo in tale azione patriottica.

La nostra conoscenza non ha durato a lungo. Ho visto morire Attilio Caneppa durante un’alba estiva rosso porpora da intenerire ogni cuore.

Il Re d’Italia ha perso un caporale, io invece mi sono arricchito della conoscenza di un uomo interessante.

Il triplice cono del Monte San Michele si estendeva pigro sotto il sole d’estate. La bastione dolomitica di questa porzione pietrosa di Paese, che di solito si vedeva sotto il fumo nero delle esplosioni delle mine e delle granate, creando l’impressione di essere un vulcano attivo, ora si estendeva senza vita, tanto desolato, come se fosse deceduto a causa delle ferite causate dalla centinaia di migliaia di granate. Una grande inerzia dominava il territorio. Come se mi fossi imbattuto in un paesaggio favoloso, dove non verdeggia neanche l’erba e non passa neanche l’uccello. E veramente non si vedeva nessuna traccia della vita animale o vegetale. Solo il superuomo, l’honvéd si accovacciava nelle trincee scavate nel dolomite. Gli honvéd avevano una buona giornata. Si avvicinava il mezzogiorno e non si era ancora sentito nessun suono di cannoni. Sembra che si preparino alla festa sia a Roma che a Budapest. Domani sarà il giorno di Pentecoste. Come festeggeremo domani? Sarà rosso di sangue? Eh, non è importante il domani!

Gli honvéd stremati dopo il vigile servizio notturno di guardia dormivano russando nella trincea. Gran parte di loro si coricava sulla schiena, con le mani allargate, come se prendesse il sole. Ho controllato le vedette, erano al loro posto. Il panorama della feritoia li dilettava, non si addorme mica con una vista del genere.
– Cosa fa l’italiano? – chiedo a uno delle vedette.
– Dorme anche quello, signor maresciallo, che gli venga la malora!
– Allora Vecchio rimani vigile, mi sdraio anch’io per coricarmi un pochino.

Eravamo in linea da sei giorni. Mi pesava il vestito, il sudiciume ormai mi innervosiva solleticando la pelle. Mi sono sdraiato sotto il sole dopo essermi liberato dei vestiti e ho consegnato la cura del plotone al caporalmaggiore Béres. Il calore del sole permeava gentilmente il mio corpo, con gli occhi socchiusi vedevo la piscina all’aperto di Siófok, il flirt dissoluto delle signore rimaste orfane e degli atleti dispensati, il mondo spensierato del gazebo di Füred, la luce sontuosa della vita di Földvár; e poi mi ha afferrato le braccia una mano ferma:
– Attenzione maresciallo!...

E nell’istante successivo ero già nel mio riparo. Sul mio piede sentivo un dolore. Pensavo fosse una granata a mano... ma ecco... non scoppia... mi rigiro... giace per terra un caricatore italiano pieno di munizioni... Gli hanno legato sopra qualcosa con lo spago... lo apro incuriosito: una cartolina. Una cartolina colorata raffigurante un paesaggio...

„Genova”...sopra l’Hotel Savoya... cielo azzurro... il cielo azzurro d’Italia... dall’altra parte c’è un testo... scritto in italiano, avevo fatto il liceo scientifico, non intendevo bene la lingua latina, quindi dovevo leggerlo cinque-sei volte prima di capirlo. Diceva questo:

Cari Compagni!
Domani la cristianità avrà una grande festa. Il giorno di Pentecoste lasciatemi pregare, pregate anche voi, non sparate, non bombardate. Che possiamo festeggiare il giorno di Pentecoste tutti in salute.
Caporale Attilio Caneppa, dalla 4° compagnia del reggimento n° X del re d’Italia.”

Al posto dell’indirizzo si leggeva:
caporale Attilio Caneppa
Genova
Plazza Umberto Nr.1.

Posizioni nemiche viste da una feritoia Posizioni nemiche viste da una feritoia
(Gruppo Speleologico Carsico)

Quindi Attilio Caneppa cittadino genovese tifa qua di fronte a me per la vita. È un uomo gentile questo Attilio, porta con se nascosto sopra il cuore l’immagine della sua città natale, ora mi augura buon Pentecoste con quello. „Le stile c’est l’homme.” Questo Attilio Caneppa non può essere un uomo dall’animo rozzo. Abita alla piazza Umberto, probabilmente è un luogo elegante di Genova. Cosa farà da civile? Il portinaio? – Non credo – è troppo premuroso per quello . – Forse è un cameriere! Primo cameriere! Sarà questo. Tanto, porta con sé l’immagine dell’Hotel Savoya. Forse era cameriere là, ora è venuto sul Carso, gli serve il Monte San Michele! ...

Corro alla feritoia – là... là... un poco a destra... a venti passi da me due occhi neri che brillano, i due occhi di Attilio Caneppa... Anche lui mi vede... non si nasconde... e bravo... si vede spera che la sua lettera è stato accolto bene. Ci guardiamo... è veramente un cameriere... ne sono sicuro... capelli neri corvini, che gli coprono gli occhi... Ha i baffetti, tempo fa ne prendeva cura, ora ne mordicchia la fine con la bocca... la sua faccia è magra, non è una faccia comune... ci guardiamo per diversi minuti. Il caporal maggiore Béres tenendo sul bersaglio il fucile mi chiede:
– Sparo?
– Lascialo!... Che preghi!

Il giorno del Pentecoste dell’anno 1916 spuntava per gli honvéd dell’Isonzo con un’alba stupenda. Le trincee del San Michele si riempivano di vita, gli honvéd uscivano dalle loro buche come i grilli, i ragazzi dell’Oltredanubio non avevano ancora visto niente del genere; il raggio di sole ha squarciato il velo della nebbia. Lo specchio del Mare Adriatico luccicava con la pompa di migliaia dei più variegati colori, l’acqua blu del sinuoso Isonzo ondeggiava con tanta dolcezza, come se non passasse accanto alle rovine carbonizzate di Gradisca. La cima innevata del Monte Nero rifletteva i fasci di luce come un riflettore, il Monte Sabotino, il calvo Podgora si ergevano tetre come guardie di Gorizia. Gorizia con i suoi palazzi luccicava come un gioiello. Davanti a noi il Monte Fortin, il temibile Fortin, da dove ci coprivano di morte. È qua l’artiglieria degli italiani; oggi, miracolo dei miracoli, anche qua c’è il silenzio. Oltre c’è la terra conquistata degli italiani, quello che avevano conquistato senza sangue. Questo magnifico panorama dei luoghi storici, questo silenzio solenne rende gli uomini taciturni. Non si sentiva nemmeno uno sparo. Quindi Attilo Caneppa poteva pregare. Non sparavamo e non bombardavamo. L’ho visto di nuovo la mattina. Era molto triste, mi sembrava di vedere dei penosi spasimi all’angolo della bocca, forse non avrebbe si sarebbe doluto se avessi ascoltato le parole del caporal maggiore Béres. Prega Attilio Caneppa, non si sa a cosa ci destiamo!

L’ho visto più volte anche di pomeriggio, era ancora triste. Mentre tutte due le linee nemiche festeggiavano così sotto il San Michele il lavoro procedeva a ritmi rinforzati. Ci lavoravano i zappatori, quelli dal grande e largo petto. Rombava il trapano, rombava da matti, spezzava, graffiava, rodeva la pietra come il tarlo il legno. Bisognava precedere l’italiano. Sono già sotto le linee italiane, ora bisogna ampliare la mina per poter riempirla con la maggiore quantità di esplosivo. Un ora di ritardo, tutto va a monte e i bravi zappatori potranno riposare nella tomba da loro stessi scavata. Lo sentono, e lo si vede sul loro lavoro.

Il giorno dopo Pentecoste si finisce la mina, ora bisogna solo riempirla. Ci si portano l’esplosivo a quintali. Il pomeriggio riceviamo l’ordine, quindi domani, alle quattro del mattino di martedì la facciamo saltare. Dobbiamo sgombrare l’ala sinistra della nostra sezione, perché si trova su un terreno a rischio. L’ala sinistra! Ahi, ma anche Attilio Caneppa si trova sul luogo a rischio. Guardo ancora tramite le feritoia, è là anche ora, è triste come lo era. Povero Attilio Caneppa, cittadino genovese, hai pregato abbastanza? Il tuo desiderio si è avverato, ha vissuto il pentecoste in salute. Ma cosa porterà il domani? Vedrò se hai pregato bene!

Quando l’orologio indicava proprio le quattro del mattino, nel rifugio del comando di compagnia il sottotenente degli zappatori ha premuto un pulsante elettrico. Allo stesso momento erompeva una forza inimmaginabile dal ventre della montagna. Le pietre di diversi quintali, i figli delle madri italiani svolazzavano come cenere nel turbine creato dall’esplosione. Un minuto di pausa, un urlo di “avanti”, gli honvéd hanno subito occupato il cratere dell’esplosione. Cercavo con grande eccitazione il riparo di Attilio Caneppa dalla faccia triste, non c’era da nessuna parte. L’ha ingoiato il Monte San Michele.

Attilio Caneppa, il caporale del re d’Italia non ha più rivisto Genova.

Un giorno la guerra finirà sicuramente. Si scorderanno le milioni di lacrime, le spade diventeranno falci, i nemici amici. Centinaia di treni porteranno migliaia di sposini sotto il cielo azzurro d’Italia. Se anche a me toccherà questa triste sorte, allora non tralascerò dal programma Genova. Visiterò il numero 1 di Piazza Umberto, dirò alla famiglia Caneppa di aver visto morire Attilio, e che ne potranno essere fieri, la sua morte era degna di un prode.

*** 

Vilmos Ács e la Rivista Bellica del 4° Honvéd 

Quando uscì il numero di aprile della rivista bellica del 4° honvéd, durante la primavera-estate del 1918 gli honvéd di Nagyvárad prestavano servizio presso il Piave, vicino al Monte Tomba. Il caso del caporale italiano non avvenne allora là, ma due anni prima, durante il pentecoste del 1916 sul Carso, presso le trincee del Monte San Michele. Il tenente Vilmos Ács, l’autore del feuilleton, visse gli avvenimenti del combattimento di mine sul Carso come un ufficiale del 17° reggimento di fanteria honvéd di Székesfehérvár, che combatteva la dando lo scambio al reggimento di Nagyvárad. (La storia compariva per questo motivo anche nel volume reggimentale del 17° reggimento honvéd pubblicato nel 1918 con il titolo A tizenhetesek 1914–1917. Emlékkönyv a székesfehérvári honvédek harcaiból)

Il frontespizio del numero di aprile 1918 del Rivista Bellica del 4° Honvéd Il frontespizio del numero di aprile 1918 della Rivista Bellica del 4° Honvéd

Vilmos Ács (1892, Tamási – 1944, Nagyvárad/Oradea [?]) ha conseguito la laurea presso l’Università delle Scienze di Budapest come ingegnere chimico. Nel 1914 si arruolò a Székesfehérvár presso il 17° reggimento di fanteria honvéd. Ha conseguito la scuola per gli ufficiali a Budapest, per poi essere mandato sul fronte italiano. Si mostrò presto la sua affinità di scrittore e di attore: nel maggio 1916 ricevette un ruolo nella rappresentazione di varietà organizzata dal 17° reggimento presso il rifugio di Rupa a scopo di beneficenza. Nell’ottobre 1916 lo trasferirono al 4° reggimento di Nagyvárad, dove prima era un comandante di compagnia, poi prestava servizio come ufficiale antigas. Partecipava al lavoro del giornale di trincea del 4° reggimento già dalla fine del 1916: con lo pseudonimo di Vilicián Zách scrisse buffi testi di varietà, poi ebbe anche una sua rubrica di satire (Tiszt úr esetei [I casi del Signor Ufficiale]).

Vilmos Ács

La Rivista Bellica del 4° Honvéd era all’apice nella seconda metà del 1917, corrispondente al cosiddetto periodo “convalescenziario” degli honvéd di Nagyvárad: tra il dicembre 1916 e il settembre 1917 il reggimento passò otto mesi sul fronte allora già tranquillo della Volinia. Nella primavera del 1917 si costituì con il contributo di Vilmos Ács il teatro di fronte del 4° Honvéd, frequentato anche da un attore e autore di cabarè, come Karl Farkas (1893, Vienna – 1971, Vienna), di cui farse e burlette già allora eseguivano con successo sui palchi dei teatri di varietà di Pest e di Vienna (più tardi Farkas divenne famoso anche come coautore e attore del Doppelconférence, il corrispettivo austriaco dello spettacolo “Hacsek és Sajó”.)

Particolare dello scritto intitolato Attilio Caneppa dalla rivista della trincea del 4° reggimento Particolare dello scritto intitolato Attilio Caneppa dalla rivista della trincea del 4° reggimento

Nella rivista del 4° reggimento si seguivano uno dopo l’altro gli episodi dal tono burbero o serio, e le canzonette di varietà di Ács, che finirono anche di essere rappresentate nel teatro di varietà dei soldati. Alcune sue poesie, e qualche suo scritto fu pubblicato anche nelle riviste maggiori della retrovia, per esempio nel Új idők [era una rivista settimanale letta dall’intellighenzia rurale, divenne una delle riviste letterarie di maggior rilievo dell’Ungheria. N.d.T.].

Ács si congedò a Nagyvárad [Oradea] nel dicembre 1918 da tenente di complemento e dopo aver ricevuto la medaglia d’onore al valor militare d’argento di prima classe, il Signum laudis d’argento e di bronzo con le spade, e anche la Croce di Carlo per la truppa. Nonostante provenisse dalla provincia di Tolna, dopo la guerra si insediò nella città di Nagyvárad, finita dall’altra parte della frontiera, dove continuò ad esercitare la sua professione originale.

Non sappiamo se Vilmos Ács avesse mai visitato Genova e avesse cercato la famiglia di Attilio Caneppa. Una cosa è certa: alla fine degli anni ‘20, oppure proprio nel 1930 Ács si sposò, e insieme alla giovane sposa, Magda Mihályfi andò proprio in Italia per il viaggio di nozze. Probabilmente era un viaggio carico di ricordi, visto che visitarono i luoghi dell’ex fronte dell’Isonzo. Ács ne scrisse una serie di articoli per le riviste Keleti Újság e Amerikai Magyar Népszava, per poi parlarne il 7 maggio 1930 nella Radio ungherese. Il suo scritto lo pubblicò più tardi, nel 1933, con il titolo Találkozó a görzi csatatéren [Incontro sul campo di battaglia di Gorizia] nel bollettino dell’associazione degli ex-combattenti del 4° reggimento.

Vilmos Ács perse vita nel 1944 durante le deportazioni di Nagyvárad.

Tradotto da Balázs Juhász.

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